"Non voglio indovinare: dimmelo subito, per favore".
"David Bowie".
"Non è possibile: è appena uscito l'album, deve fare il tour".
La radio però è accesa e le parole "beauté" e "androgyne" fugano ogni dubbio.
Che qualcuno muoia è nell'ordine delle cose; è anzi la cosa più prevedibile che ci sia al mondo. Nel suo caso forse molti avrebbero trovato più opportuno che venisse rapito dagli alieni o che, non so, sparisse nei meandri di un labirinto; dissolto in un modo o nell'altro, come ogni artista, nella sua opera.
Una settimana fa sono venuti a cena Emilie e suo figlio Lilian, di quattro anni. A casa c'è una cartolina, souvenir di una mostra dell'anno scorso su Bowie alla Philharmonie de Paris: il mezzo busto di Aladdin Sane, il fulmine sul volto. Lilian la indica e dice: "David Bowie! Quello che canta Rebel Rebel!" Non che rischiassi di dire: "cantava", ma per sicurezza Emilie mette l'indice davanti alle labbra per assicurarsi che non faccia gaffes. La morte di David Bowie come l'inesistenza di Babbo Natale.
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